Commento al trial clinico: "Abelacimab versus Rivaroxaban in Patients with Atrial Fibrillation"
Elena Campello
UOC Clinica Medica 1 indirizzo trombotico ed emorragico, Dipartimento di Medicina, Azienda Ospedale Università Padova
In gennaio 2025 è stato pubblicato sul NEJM il trial clinico AZALEA–TIMI 71. Si tratta di uno studio multicentrico, randomizzato e controllato, che ha coinvolto 1.287 pazienti con fibrillazione atriale ad alto rischio di ictus (CHA₂DS₂-VASc ≥4 o ≥3 in presenza di uso concomitante di farmaci antipiastrinici o clearance della creatinina ≤50 ml/min). I pazienti sono stati randomizzati in un rapporto 1:1:1 a ricevere abelacimab 150 mg o 90 mg (entrambi per via sottocutanea una volta al mese) oppure rivaroxaban 20 mg al giorno. Il tempo mediano di follow-up è stato di 2,1 anni. La popolazione studiata presentava un'età mediana di 74 anni e il 44% dei pazienti era di sesso femminile. Circa il 20% dei partecipanti aveva una clearance della creatinina ≤50 ml/min e la maggior parte presentava ipertensione arteriosa (circa il 97%) e diabete mellito (circa il 54%). L’endpoint primario era l’incidenza di sanguinamenti maggiori o clinicamente rilevanti non maggiori. I risultati hanno mostrato un’incidenza di eventi emorragici pari a 3,2 per 100 anni-persona con abelacimab 150 mg e 2,6 per 100 anni-persona con abelacimab 90 mg, rispetto a 8,4 per 100 anni-persona con rivaroxaban. L’hazard ratio per abelacimab 150 mg rispetto a rivaroxaban è stato di 0,38 (IC 95%, 0,24–0,60), mentre per abelacimab 90 mg è stato di 0,31 (IC 95%, 0,19–0,51). Tra i sanguinamenti maggiori, il sanguinamento gastrointestinale è stato il più frequente, con un'incidenza di 0,24 eventi per 100 anni-persona nel gruppo abelacimab 150 mg e 0,25 eventi per 100 anni-persona nel gruppo abelacimab 90 mg, rispetto a 2,14 eventi per 100 anni-persona nel gruppo rivaroxaban. L’hazard ratio per abelacimab 150 mg rispetto a rivaroxaban è stato di 0,11 (IC 95%, 0,03–0,48), mentre per abelacimab 90 mg è stato di 0,11 (IC 95%, 0,03–0,49). Il sanguinamento intracranico è stato raro in entrambi i gruppi di abelacimab e nel gruppo rivaroxaban. Tra gli outcome secondari, l’endpoint composito di ictus ischemico o embolia sistemica si è verificato con una frequenza di 1,21 eventi per 100 anni-persona con abelacimab 150 mg, 1,36 per 100 anni-persona con abelacimab 90 mg e 0,83 per 100 anni-persona con rivaroxaban. In particolare, l’incidenza di ictus ischemico è risultata di 1,21 eventi per 100 anni-persona con abelacimab 150 mg e 1,24 con abelacimab 90 mg, rispetto a 0,59 con rivaroxaban. Anche se non statisticamente significativo, il tasso di ictus ischemico è stato numericamente superiore nei gruppi trattati con abelacimab (hazard ratio per abelacimab 150 mg rispetto a rivaroxaban 1,47 (IC 95%, 0,56–3,85), mentre per abelacimab 90 mg è stato di 1,65 (IC 95%, 0,64–4,25). Il trial AZALEA–TIMI 71 offre un importante contributo alla valutazione della sicurezza degli inibitori del fattore XI rispetto ai DOAC nei pazienti con fibrillazione atriale. I risultati suggeriscono che abelacimab è significativamente più sicuro di rivaroxaban in termini di rischio emorragico, soprattutto per quanto riguarda il sanguinamento gastrointestinale. Tuttavia, lo studio presenta alcune limitazioni. Innanzitutto, la precoce interruzione del trial, dovuta ai chiari benefici in termini di riduzione delle emorragie, ha limitato la raccolta di dati a lungo termine sulla sicurezza ed efficacia. Un aspetto particolarmente interessante della discussione riguarda l’ipotesi avanzata dagli autori sulla minor esposizione gastrointestinale diretta di abelacimab rispetto a rivaroxaban, che potrebbe spiegare il minore rischio di sanguinamento gastrointestinale osservato. Questo potrebbe rappresentare un vantaggio clinico rilevante, soprattutto nei pazienti ad alto rischio di sanguinamento digestivo. Dal punto di vista trombotico, l’osservazione di un'incidenza numericamente superiore di ictus ischemico nei gruppi trattati con abelacimab rispetto a rivaroxaban solleva interrogativi sull’efficacia protettiva del farmaco rispetto agli eventi tromboembolici. Sebbene l’aumento del rischio non sia risultato statisticamente significativo, è un aspetto da considerare attentamente nei futuri studi di fase 3, che dovranno fornire maggiori evidenze sull’equilibrio tra sicurezza ed efficacia. Il confronto con il trial OCEANIC-AF (Piccini et al., 2025), che ha confrontato asundexian con apixaban, offre ulteriori spunti di riflessione. Anche in quel caso, l’inibizione del fattore XIa ha mostrato un profilo di sicurezza interessante con una riduzione dei sanguinamenti maggiori rispetto ad apixaban, ma a scapito di un’efficacia ridotta nella prevenzione dell’ictus ischemico. Questa somiglianza tra i due studi solleva la questione fondamentale sulla reale capacità degli inibitori del fattore XI di garantire un'efficace protezione antitrombotica, pur mantenendo un profilo di sicurezza migliore rispetto ai DOAC tradizionali. Un aspetto critico emerso dal trial OCEANIC-AF riguarda la scelta del dosaggio di asundexian, che potrebbe aver influito negativamente sull'efficacia antitrombotica. Asundexian alla dose di 50 mg una volta al giorno ha mostrato una riduzione insufficiente dell'attività del fattore XIa, probabilmente insufficiente per prevenire adeguatamente gli eventi tromboembolici. Questa scelta di dosaggio potrebbe aver contribuito al fallimento dell'obiettivo primario dello studio, sottolineando la necessità di identificare il giusto equilibrio tra dose efficace e sicurezza. Inoltre, a differenza di abelacimab, che inibisce sia il fattore XI inattivato che XIa, asundexian agisce solo sull'enzima attivo, il che potrebbe spiegare una differenza nei risultati clinici. È necessario considerare anche la modalità di somministrazione: l’uso sottocutaneo mensile di abelacimab potrebbe favorire l'aderenza terapeutica rispetto ai DOAC orali, ma comporta comunque problematiche logistiche e di accettabilità da parte del paziente. Pertanto, mentre gli inibitori del fattore XI offrono un promettente profilo di sicurezza, sono necessari ulteriori dati per stabilire il bilanciamento ottimale tra riduzione del rischio emorragico e mantenimento della protezione antitrombotica. Referenze 1. Ruff CT, et al. Abelacimab versus Rivaroxaban in Patients with Atrial Fibrillation. N Engl J Med 2025; 392:361-71. 2. Piccini JP, Patel MR, Steffel J, et al. Asundexian versus Apixaban in Patients with Atrial Fibrillation. N Engl J Med 2025; 392(1):23-32. 3. Hsu C, et al. Factor XI inhibition to uncouple thrombosis from hemostasis. J Am Coll Cardiol 2021; 78:625-31. 4. Harrington J, Piccini JP, Alexander JH, Granger CB, Patel MR. Clinical evaluation of factor XIa inhibitor drugs. J Am Coll Cardiol 2023;81:771-9.